Racconti
Ali di vento
di Ondablu, Stella Zina
In paese si diceva
che Paolo, un uomo di circa 40 anni, fosse poco sano di mente, perché
sosteneva di sentire la voce del vento, che nei momenti cruciali della
vita gli indicava la strada da prendere. Veramente era un po' "fuori
del comune". Passava ore e ore sulla spiaggia. Raccoglieva conchiglie.
A chi gli chiedeva il perché, rispondeva che in esse il "vento passa
cantando". Un giorno una conchiglia, che aveva raccolto la voce del
vento, gli disse di salire sulla prima nave e prendere il largo. Non
ci pensò un attimo. Non salutò nessuno. Non prese alcun bagaglio.
Portò con sé solo... sì, forse era pazzo, come sanno esserlo le
persone savie: se pazzo è colui che riesce a sentire qualcosa dentro
di sé che gli dà la bussola dei sentimenti, e che per comodità chiama
"la voce del vento", per non perder tempo a spiegarlo a chi non lo
capirà mai. Allora Paolo era pazzo; per cui nessuno si meravigliò
quando portò con sé solo "quella" conchiglia. Lasciò il suo paese
senza rimpianti. E poi cosa doveva rimpiangere? Si era sempre sentito
estraneo, diverso sembrava parlasse un'altra lingua. Eppure aveva
qualcosa di speciale che emanava al suo passaggio, come una scia
luminosa: l'amore per tutte le creature. Lo vedevi a volte fissare un
piccolo granchio, con la testa leggermente inclinata da un lato e gli
occhi colmi di tenerezza. Lo stesso sguardo che ora accarezzava la
conchiglia adagiata sul palmo della mano, mentre sul ponte della nave
stava iniziando un viaggio di cui non conosceva la meta. Voleva solo
andare, lasciarsi cullare da quelle onde che tanto aveva amato e poi
sentire il vento nei capelli sul viso in tutto il corpo. Questo
elemento trasparente e magico capace di farti giocare e soffrire. Il
vento e il mare gli cantavano nelle orecchie una canzone da sempre
conosciuta: "io sono il vento delle sensazioni/ se lieve ti accarezzo
mi avvolge una struggente serenità/se imperversa la tormenta/ il primo
a percepirla è il mio maschio cuore/ mi voglio tuffare nel mare delle
emozioni/ lì potrò godere delle mie gioie/soffrire per quello che ho
perduto/ di ciò che vorrei e che non ho mai avuto". Così cantava Paolo
mentre il vento e la salsedine lo inondavano; "Che bella canzone" -
pensò - "corro subito a scriverne i versi, per non dimenticarli!" Ma
si ricordò che non era mai andato a scuola, e non se ne rammaricò:
stringeva tra le dita la sua conchiglia che gli sussurrava di guardare
davanti a sé. E lui alzò lo sguardo: un vecchio marinaio era intento a
fare nodi con dei vecchi cavi. Senza muoversi si mise ad osservarlo.
In particolare era affascinato dalle mani del vecchio: il dorso pieno
di stanche vene, le nocche delle dita talmente ossute da sembrare
delle noci: eppure quelle mani erano fatate, si libravano leggere tra
i vecchi cavi, con la leggerezza di due farfalle e ancora creavano; si
ricordò, allora, di quello che aveva detto il pastore della sua chiesa
la domenica precedente, parole che, pur incomprensibili, lo avevano
affascinato: "morte, dov'è il tuo pungiglione?". Si avvicinò a lui e
gli chiese: - Che cosa stai creando? -. Il vecchio lo guardò a lungo,
accogliendolo nell'azzurro dei suoi occhi infiniti, e rispose: - Sto
creando "nodi di congiunzione", - Non aveva bisogno di aggiungere
altro, perché Paolo aveva compreso di essere parte di questo mare, di
questo cielo, di questo vento. Non si sentiva più straniero in questo
mondo. Qualcuno lo aveva preso tra le braccia, come una madre, gli
aveva dato un nome nuovo e una nuova forma. Tutto quello che era,
tutto quello che aveva, tutto quello che sperava, tutto quello che
amava era lì davanti ai suoi occhi.
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